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Lettera a mio nonno Francesco (mai conosciuto)
(A Francesco Caldarola, Vicebrigadiere di P.S. , Medaglia d’Argento al merito di Servizio) di Stefania Di Mitrio Non sai da quanto tempo nonno, pensavo di scriverti una lettera per dirti quanto ci sei mancato e quanto ci manchi ancora oggi nonostante i 70 anni appena compiuti dalla tua tragica morte. Ho atteso tanto tempo perché le difficoltà nel scrivere una lettera ad una persona mai conosciuta e di cui si possiedono solo qualche foto ed un modesto carteggio, sono tante. Sei scomparso in quel maledetto lunedì 18 ottobre 1943 a Dibra, allora facente parte dell’Albania italiana, quando preso prigioniero, sei stato brutalmente ucciso dai partigiani slavi ed albanesi. Questo è quanto riportato dal processo verbale di constatazione di morte e di identificazione della tua salma. Ma quanti anni ci sono voluti per fare un po’ di chiarezza in questa tua triste vicenda che poi inesorabilmente è diventata la nostra, ma soprattutto di mia nonna Maria, tua moglie, e di tua figlia Anna, mia madre, le cui vite sono state sconvolte a tal punto per cui forse oggi io non sarei neanche qui a scriverti! Allora eri vicebrigadiere della Regia Questura di Dibra, fra l’altro sei stato promosso a tale grado solo qualche mese prima di morire. Come ti dicevo, è difficile scriverti nonno perché non ho ricordi di te, emozioni o quant’altro possa aiutarmi ad avere una memoria affettiva fatta di gesti e comportamenti. O meglio una memoria seppur ridotta ce l’ho (sei morto a soli 37 anni) ed è quella riportata dalle tue lettere, dai ricordi della nonna Maria, neppure quelli di mia madre, barbaramente privata del tuo amore, considerando che ti ha perso all’età di soli 4 anni. Per tutti questi anni abbiamo tentato di cercarti: prima tua moglie, con i pochi mezzi di comunicazione di allora immediatamente dopo la guerra, poi mia madre con l’aiuto di mio padre e adesso io oggi con l’ausilio degli efficaci uffici dei Ministeri dell’Interno, della Difesa e della Polizia di Stato naturalmente, per effettuare una vera e propria ricostruzione storica di quanto accaduto. Tutte noi tra la rabbia e la tristezza abbiamo sempre avuto un unico obiettivo: conoscere la verità, portare avanti la tua memoria e ridarti la dignità di uomo che ha perso la propria vita nell’adempimento del Dovere. Purtroppo nonno il destino ti ha beffato due volte: la prima per averti fatto fare quella fine, la seconda per cui, ad oggi, non c’è alcuna traccia di te da nessuna parte. Non sei inserito tra i Caduti d’Oltremare di Bari e non risulti nel Registro di Bronzo del Sacrario Militare del capoluogo pugliese. Per non parlare delle tue spoglie mai tornate in Patria. Dopo affannose ricerche però sono riuscita ad aprire l’istruttoria per cui finalmente
sarai annoverato tra i valorosi caduti della Polizia di Stato. Te lo dovevamo nonno. Un piccolo riconoscimento per un grande gesto d’amore: quello che tu hai avuto nei confronti della Patria e delle istituzioni, fino a morirne. E’ tutto quello che noi superstiti possiamo chiedere allo Stato: una lapide murale che riporti il tuo nome tra i Caduti Noti non Identificati. La tua salma, riconosciuta il 5 gennaio 1944, come accennato, non ha mai fatto rientro in patria e quindi sei stato prematuramente privato oltre che della vita anche di una degna sepoltura. E pensare che dai racconti di nonna Maria lei fece di tutto per non farti partire in Albania, quasi presagendo quello che sarebbe potuto accadere. Persino tu nonno, in una lettera indirizzata a tuo padre Luigi e datata 6 luglio 1943, esprimi le tue perplessità per la permanenza in una regione pericolosa e dalla guerriglia attiva come era l’Albania soprattutto dopo l’armistizio dell’8 settembre dello stesso anno. Scrivevi testualmente: “Mi predomina un cattivo presentimento, con la viva speranza che non si avveri”. Ma ahimè, così non fu e nonostante le tue ripetute richieste di trasferimento, come testimonia un fitto carteggio con tuo padre, non hai fatto in tempo a rientrare in Italia e così ci hai lasciato un vuoto e delle profonde ferite che non conoscono cura. L’allora piccola Anna, tua figlia, è vissuta sola con sua madre Maria nelle difficoltà economiche e sociali di un Paese devastato dalla guerra, senza il tuo affetto, senza una tua carezza in un’infanzia triste e solitaria che non merita alcun bambino. Ma per fortuna nonno voglio rassicurarti che Anna, nonostante le difficoltà di quegli anni e di una adolescenza vissuta poi con un patrigno che non l’ha mai amata come avresti fatto tu, ha saputo realizzarsi come moglie e madre esemplare accanto ad un altrettanto uomo di grande rettitudine, mio padre Giuseppe, per noi tutti Peppino, che spesso ha dovuto ricoprire anche il ruolo di padre “acquisito”. E’ vero non abbiamo una tomba su cui pregare, né abbiamo mai potuto portarti un fiore, ma i nostri sentimenti per te sono sempre stati vivi e ci hanno spinto a non arrenderci mai e a cercarti senza sosta. Il tuo coraggio nonno è stata la nostra forza, il tuo Dovere il nostro insegnamento di vita. Sei sempre stato e sei con noi tutti i giorni.
Tua nipote Stefania
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