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LA MALEDIZIONE DI CORSO DANTE

(l’assassinio dell’agente Fiorentino Manganiello, 1983)

 

Asti, 15 Novembre 1983, ore 13,00 circa.

Accade tutto in un istante.

L’uomo con il casco da motociclista sbarra la strada ai due funzionari delle Poste e all’agente di Polizia Fiorentino Manganiello mentre stanno salendo le scale del Palazzo delle Poste di Corso Dante ad Asti. I tre uomini sono colti di sorpresa, soprattutto Fiorentino, un agente di 23 anni in servizio presso la Polizia Postale della città piemontese, incaricato di scortare i due funzionari e la valigetta che uno di loro porta con sé, contenente 400 milioni di lire in contanti ed un assegno che ne vale altrettanti, prelevati nel vicino edificio della Banca d’Italia, distante pochi metri.

Un servizio di routine che Fiorentino ha effettuato decine di volte, ma oggi è diverso.

L’Uomo con il Casco si avvicina ai tre uomini puntando la pistola al volto del poliziotto, quindi  con un gesto brusco strappa di mano la valigetta del denaro ad uno dei funzionari e, sempre con la pistola puntata al volto dell’agente, scende i gradini della scalinata, prima cautamente, senza smettere di prendere di mira Fiorentino,  poi fugge verso l’uscita.

Fiorentino è il primo a riscuotersi. Durante la rapina non ha potuto reagire, ma adesso urla ai due funzionari “CHIAMATE IL 113!”, estrae la pistola Beretta 92S dalla fondina, inserisce il colpo in canna e scatta a sua volta all’inseguimento l’Uomo con il Casco attraverso la scalinata e l’atrio delle Poste Centrali intimandogli “FERMO! FERMO O SPARO!”.

L’Uomo con il Casco apre con una spallata la porta a vetri dell’ingresso, avanza di uno o due passi verso l’esterno poi si blocca di colpo come se avesse cambiato idea e volesse tornare indietro, quindi si volta verso il proprio inseguitore che ora è appena al di là del vetro. Con calcolata freddezza l’Uomo con il Casco punta la pistola verso il poliziotto. Fiorentino non riesce ad alzare la propria arma, forse non ha nemmeno il tempo di avere paura. Il rapinatore preme il grilletto e spara un solo proiettile che dopo avere trapassato la vetrata dell’ingresso colpisce alla gola il poliziotto che crolla ferito a morte sul pavimento dell’atrio.

L’agente Fiorentino Manganiello muore prima dell’arrivo dell’ambulanza. Meno di una settimana dopo avrebbe compiuto 23 anni. Lascia una moglie giovanissima in attesa di un figlio che non conoscerà mai il suo papà.

Asti è una città tranquilla, il classico posto dove non succede mai nulla. L’ultima morte violenta di un poliziotto risale al 1945, quando quattro agenti furono uccisi durante un assalto partigiano ad un posto di blocco in Corso Casale.

Ora è diverso e la morte di Fiorentino colpisce la città con la forza di un violento pugno allo stomaco.

La Squadra Mobile lavora febbrilmente, con quel poco che ha in mano e con la collaborazione degli astigiani.

L’Uomo con il Casco, dopo avere assassinato Fiorentino, è fuggito a bordo di una motocicletta Honda 1000 bianca parcheggiata all’esterno delle Poste ed ha attraversato a tutta velocità Asti, facendo perdere le proprie tracce nella periferia della città.

La pista della motocicletta è un vicolo cieco. Il mezzo non verrà mai ritrovato e la targa trascritta dai testimoni è quella rubata alcune notti prima da una Vespa parcheggiata in una via cittadina.

La pistola è una calibro 9 parabellum, che in Italia è in uso solo alle Forze dell’Ordine. In teoria, perché nel nostro Paese in quegli anni circolano armi dello stesso calibro provenienti dall’estero e addirittura altre risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, oltre a quelle rubate o rapinate ad agenti e carabinieri e a quelle cedute alla criminalità da appartenenti alle Forze di Polizia che hanno dimenticato il proprio giuramento.

Agli investigatori viene il dubbio che il rapinatore non abbia agito da solo e che abbia avuto almeno un complice.

Il tragitto dei funzionari delle Poste dai loro uffici alla sede della Banca d’Italia e viceversa non è certo un segreto, ma rimane il dubbio sulla presenza di un basista che possa avere fornito le informazioni giuste all’Uomo con il Casco ed anche se così non fosse, appena pochi istanti prima dell’assalto alle Poste Centrali, al 113 è giunta una telefonata anonima che ha segnalato una rapina in corso presso l’ufficio postale di Corso Torino, a circa tre chilometri di distanza, dove sono state inviate le volanti e le pattuglie di carabinieri. Non può trattarsi dello scherzo di qualche idiota mitomane, ma di un complice dell’Uomo con il Casco che ha voluto allontanare Polizia e Carabinieri da Corso Dante.

Nei giorni successivi, alcuni balordi locali con precedenti per rapina vengono sottoposti a fermo e gli investigatori tartassano la malavita astigiana per avere informazioni, ma niente da fare. I pregiudicati sono estranei al delitto di Corso Dante mentre gli altri malavitosi sono chiari: l’Uomo con il Casco non è di Asti. Non esiterebbero a consegnarlo, pur di togliersi di dosso la pressione degli sbirri, ma nemmeno loro sanno chi sia.

Il 30 Novembre, a poco più di due settimane dal delitto, il giornale “la Provincia di Asti”, cogliendo le voci sconfortate provenienti dagli investigatori, titola “IL RAPINATORE OMICIDA E’ SVANITO NEL NULLA”.

Le indagini si arenano fino a che nel 1990 accade qualcosa di sconvolgente.

Al Commissariato di Casale Monferrato arriva una lettera anonima nella quale un ex agente di Polizia (che chiameremo Luca, anche se non è il suo vero nome) in servizio ad Asti nel 1983, viene accusato di essere l’Uomo con il Casco.

Per magistrati ed investigatori, la lettera anonima spiega molte cose.

Ecco perché il rapinatore conosceva i movimenti dei funzionari e della scorta tra Banca d’Italia e Palazzo delle Poste, ecco il perché della pistola calibro 9 parabellum, ecco perché la malavita di Asti non sapeva nulla dell’Uomo con il Casco. A questi elementi devono essere aggiunti la telefonata che ha depistato le volanti in periferia e che alla luce della lettera anonima fa pensare ad una persona a conoscenza delle modalità di intervento e degli stessi comportamenti delle Forze dell’Ordine, un altro indizio è la motocicletta usata dall’assassino per la fuga e mai più ritrovata, dello stesso tipo di quella posseduta da Luca nel 1983.

E ancora, ecco la spiegazione su dove è finito il denaro della rapina… sicuramente, si dicono gli inquirenti, è stato riciclato nell’attività imprenditoriale aperta da Luca dopo le dimissioni dalla Polizia.

Tanti tasselli del puzzle iniziano a combaciare perfettamente.  Secondo gli investigatori Luca è un poliziotto che ha saltato la barricata, un traditore che ha ucciso un altro agente e che ha riciclato il denaro sporco di sangue in una legittima attività commerciale. Il caso è risolto, almeno per gli inquirenti.

Ma chi è Luca?

Luca è stato un buon poliziotto, anzi di più, un ottimo poliziotto che ha prestato servizio proprio presso la Squadra Mobile di Asti. Uno sbirro di prim’ordine con un eccellente curriculum professionale ed un grande fiuto per la caccia ai cattivi. Ad un certo punto della propria carriera, verso la metà degli anni ’80, ha fatto un’altra scelta di vita ed ha lasciato la Polizia per dedicarsi all’imprenditoria facendo fortuna, perché Luca è in gamba e lo stesso fiuto che aveva per la caccia ai balordi, lo possiede anche per gli affari.

Luca viene arrestato con l’atroce accusa di essere un Giuda, di essere l’Uomo con il Casco, di essere un assassino.

Luca è incredulo, di fronte all’enormità delle accuse che gli sono piombate addosso. Lui è innocente e combatte per dimostrarlo, con rabbia e decisione, ma non viene creduto. Al processo di primo grado è condannato all’ergastolo, in quello di appello a 30 anni. Luca urla la propria innocenza, ma per tutti è lui l’assassino di Corso Dante.

Ma Luca non si arrende, nemmeno in prigione, nemmeno di fronte a quella che si sta rivelando una vera odissea giudiziaria perché ci sono altri due processi d’appello, uno a Torino e l’altro a Milano e dove finalmente può dimostrare che il denaro usato per avviare la propria attività è stato da lui ottenuto dopo avere firmato tonnellate di cambiali e i suoi periti evidenziano senza ombra di dubbio che l’arma che ha ucciso Fiorentino non può essere quella di ordinanza dell’allora agente Luca.

Gli altri indizi crollano a questo punto come un castello di carte.

A Luca viene restituito l’onore, ma chi potrà restituirgli i ventotto mesi di vita trascorsi in prigione da uomo innocente?

Il tribunale civile di Milano ci prova. Nel giugno 1996 l’ingiusta detenzione di Luca viene risarcita con ottanta milioni di lire, quasi il massimo previsto dalla legge. Non è un granchè per due anni della propria vita perduti per sempre, anche se nella motivazione della sentenza i magistrati civili definiscono incalcolabile il danno patrimoniale e morale subito da Luca. Quest’ultimo dichiara alla “Stampa” di non volersi arrendere, di voler arrivare sino in fondo alle responsabilità sul calvario da lui subito.

Sappiamo che Luca sta lottando ancora oggi per l’accertamento della verità, con la stessa rabbia e determinazione che gli ha permesso di sopravvivere in quei ventotto mesi di carcere.

L’inchiesta per l’omicidio dell’agente Fiorentino Manganiello e la rapina di Corso Dante è stata archiviata. La Giustizia, quella vera, con la G maiuscola, non ha trionfato.

L’Uomo con il Casco è ancora nell’ombra e probabilmente, a meno di un miracolo o di un fortunato caso del destino, vi resterà per sempre.

Rimangono solo due amari interrogativi che ci siamo posti noi stessi raccontando la storia di Fiorentino e di Luca.

Chi?

Perché?

Fonti principali: quotidiani “la Provincia” di Asti dei giorni tra il 16 ed il 30 Novembre 1983, la “Stampa” del 12 Giugno 1996

Per la Redazione Cadutipolizia: Fabrizio Gregorutti

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