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IL CALVARIO DI UN UOMO

- di Gianmarco Calore -

 Da quando ho iniziato la collaborazione con questo sito, sono rimasto sempre affascinato dalla casualità con cui spesso mi sono imbattuto in vecchie storie di Colleghi che sono volati in cielo nelle epoche più disparate. Eppure nelle mie ricerche ho cercato sempre di adottare un metodo rigorosamente scientifico, anche per evitare di incappare in imbarazzanti errori storico-politici, soprattutto nel "rischioso" periodo della Seconda Guerra Mondiale. Sono partito basandomi sull'elenco ufficiale dei Caduti gentilmente messo a disposizione dall'Ufficio Storico del Ministero dell'Interno: e subito sono sorti i primi problemi. 

 Ad esempio, la stampa riportava dettagliati articoli di cronaca con tanto di foto su Colleghi di cui il Ministero non sapeva nulla, vuoi perchè a distanza di più di cinquant'anni il relativo fascicolo è andato smarrito, vuoi perchè la figura di quel Collega si era persa nel gigantesco e caotico calderone di guardie, guardie ausiliarie, guardie aggiunte, guardie in prova, guardie part-time, guardie-e-ladri che ha caratterizzato la nostra Amministrazione fino all'immediato dopoguerra.  

 Oppure capita di trovare il nome di un Caduto riportato sulla lapide di una Questura, ma di non trovare alcuna traccia di esso nè a livello locale, nè a livello centrale, come se si fosse trattato di un dispettoso folletto venuto a creare scompiglio tra i nostri Caduti. Salvo poi incappare fortunosamente e - oserei dire - magicamente in un Collega pensionato che lo aveva conosciuto di persona.

 Da molti mesi sto "battendo" le principali biblioteche della mia Regione, sia a livello virtuale, sia recandomi personalmente sul posto: faldoni e faldoni di vecchie pagine di quotidiani ingialliti dal tempo alla ricerca di un nome e.... oplà! Come dal cilindro di un prestigiatore eccoti spuntare la storia di un Poliziotto il cui nome non risulta nell'elenco ufficiale, nè nella miriade di elenchi trovati qua e là in Internet. E allora, giù a prepararne la scheda voracemente, affamato di una verità storica che secondo me non deve restare sepolta tra la polvere di uno scaffale.

 La storia che sto per raccontare ha dell'incredibile. E' incredibile per l'accanimento della sorte verso un Uomo; incredibile per la forza d'animo dimostrata da quest'ultimo; incredibile per la sua conclusione.

 Ma è una storia vera.

 Antonio Di Palo è un Appuntato di Pubblica Sicurezza in servizio al Commissariato di Aversa (NA). La notte del 13 gennaio 1963 è impegnato, assieme ad altri Colleghi, in un servizio di controllo del territorio nei pressi del suo paese.

In quegli anni non esisteva ancora il servizio di volante come viene concepito oggi: erano anni in cui la presenza della Polizia sul territorio si manifestava con alcune jeep cariche di uomini e posizionate nei punti strategici delle città, pronte ad intervenire in caso di bisogno. Il moderno 113 era ancora nel limbo delle belle idee, al pari di una stabile copertura ricetrasmittente, così le guardie dovevano telefonare periodicamente al proprio comando per sapere le ultime novità.

 Antonio decide di controllare una Fiat Cinquecento bianca: a bordo ci sono due figuri che proprio non gli piacciono.  Magari Antonio, da buon Poliziotto, li ha riconosciuti. La macchina si ferma docile all'ALT POLIZIA intimato con la paletta metallica.

 A bordo - ma lo si saprà soltanto dopo - due giovani pregiudicati napoletani: giovani, ma dalla fedina penale abbondantemente "navigata", gente disposta a tutto.

 "Prego, favoriscano i documenti" intima con rispettosa fermezza il militare.

 "Comandi, appuntà! Mo' la serviamo subito..."

 E lo servono proprio bene, le due canaglie. Mentre il primo, Nicola Capasso, esibisce la patente, il secondo, Alfonso Oste, estrae una piccola pistola che teneva sotto la cinta dei pantaloni ed esplode tre colpi in rapida successione che colpiscono Antonio Di Palo al torace. Il graduato crolla a terra mentre i due farabutti cercano di fuggire, subito catturati dagli altri Agenti. Ed è solo perchè la piccola pistola con cui il giovane ha sparato è un vecchio cimelio di guerra che si inceppa subito che non ci scappano altre vittime.

 Fino a qui, normale amministrazione. O quasi.

 Antonio non muore. Almeno non subito. Viene ricoverato in rianimazione all'ospedale di Napoli ove i medici lo sottopongono al primo degli innumerevoli interventi chirurgici che strazieranno il suo corpo per i successivi sette anni. Inizia per lui un calvario fatto di lunghe peregrinazioni da un ospedale all'altro, un'operazione dietro l'altra nella consapevolezza che comunque qualcosa nel suo fisico aveva ceduto per sempre.

 Ma Antonio non molla. E' di tempra forte tanto quanto il suo carattere. Con la forza della disperazione e dell'amore verso il suo lavoro cerca di guadagnare centimetro dopo centimetro la strada che la sua salute ha percorso dopo averlo abbandonato. E per un po' riesce anche a tenere un buon passo. Tanto da rientrare in servizio. Tanto da riuscire a sposarsi e ad avere anche una bambina, forse l'unica vera gioia nella sua salita verso il Calvario, come una moderna Maddalena che per un momento gli deterge il volto dal sudore della fatica.

 Gli stanno vicino tutti i colleghi della Campania: vengono organizzate collette, ognuno dà una mano come può. Le cure ospedaliere costano, la vita di ogni giorno anche. La solidarietà verso questo Poliziotto coinvolge anche la gente comune che commossa assiste impotente all'evolversi di questa storia. Non ci sono testimonianze dirette in questo senso, ma mi piace pensare che i Napoletani veri, quelli che sono fieri di appartenere alla più schietta e onesta stirpe partenopea, si siano adoperati in mille modi per addolcirgli questo calice amaro che deve bere ogni giorno e che sembra non dover finire mai.

 Ma è tardi. La croce che Antonio ha portato con coraggio per tutto questo tempo si è fatta pesantissima. La sua vita si spegne definitivamente ben sette anni dopo quella tragica sparatoria, il pomeriggio del 16 marzo 1970, dopo l'ennesimo ricovero in una clinica specializzata nel tentativo di tamponare ancora una volta i danni che quei tre piccoli proiettili gli avevano arrecato.

 Sette lunghi anni, attraverso i quali Antonio ha fatto a tempo a vedere quall'Italia florida e promettente del dopoguerra sgretolarsi sotto le mazzate sconsiderate di altri giovani che per le strade sparavano, bruciavano, picchiavano nel nome di un incomprensibile ideale rivoluzionario di cui non facevano parte e che forse nemmeno capivano; a vedere tanti altri Colleghi in ogni parte del Paese morire o venire feriti come lui, perdendo il lavoro e spesso anche la famiglia; ma soprattutto, a vedere i suoi due feritori essere condannati a 11 anni per tentato omicidio. Già, perchè se per il principio del ne bis in idem nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso delitto, neanche venne mai chiesta la revisione della posizione dei due galeotti anche dopo il decesso del nostro Fratello.   

 Ecco l'incredibile storia dell'Appuntato di P.S. Antonio Di Palo: di lui non ci rimane nemmeno una fotografia sgualcita da pubblicare, ma solo un estratto in cronaca da "Il Mattino" di Napoli del 1° aprile 1970.

 Resta solo il nostro ricordo, rispolverato dagli archivi di una sperduta biblioteca civica e affidato alle pagine di questo sito. Perchè nessuno dimentichi mai con quanta dignità un Uomo ha sofferto per colpa dell'imbecillità di un altro uomo.

 Per la Redazione Cadutipolizia: Gianmarco Calore