Domenico Cappa

Domenico Cappa in uniforme di Comandante delle Guardie di P. S. di Milano.

Innocenzo Cappa era mugnaio a Cintano, nelle vicinanze di Castellamonte, in una zona del Piemonte nota come Canavese. Innocenzo aveva combattuto in Russia con l'imperatore Napoleone ed aveva perso una gamba; malgrado questa menomazione si era sposato con una bella donna che gli aveva dato numerosi figli: il 10 gennaio del 1830 era nato Domenico.

Questi andò a scuola per due giorni, poi lavorò al mulino dei genitori, fino a 15 anni, quando fuggì di casa per raggiungere Susa, dove riprese il lavoro di mugnaio presso la famiglia Montegrandi, di cui sposò la figlia Benedetta. Domenico si arruolò volontario per la spedizione in Crimea, ma rimase a Malta, dove divenne sergente.

Benedetta Cappa col marito Filippo Tommaso Marinetti e le tre figlie, Vittoria, Al

Dopo questa giovinezza avventurosa, per interessamento della cugina Rosa Vercellana, moglie morganatica di Vittorio Emanuele II, meglio nota come la Bella Rosina, Domenico Cappa, nel 1859, venne arruolato nelle Guardie di Pubblica Sicurezza, un corpo di polizia che era stato costituito nel 1852.

Divenne così la fedele guardia del corpo di Camillo Cavour, col quale condivise, per così dire, anche momenti di vita sentimentale. Domenico Cappa conobbe infatti Bianca Ronzani, amante dello statista.

Dopo la morte di Cavour, Cappa fece carriera nella polizia e intorno al 1870 divenne maresciallo delle Guardie di Pubblica Sicurezza di Torino. Le sue vicende offrono spunto per uno studio critico sulla polizia piemontese e poi italiana, perché Cappa in quegli anni aveva molto da fare: il trasferimento nel 1865  della capitale del regno d'Italia a Firenze e la perdita di tutte le attività, anche piccole ma pur sempre redditizie, connesse alla vita di una capitale, provocò in Torino un periodo di miseria e disoccupazione con recrudescenza della criminalità comune.  Il 5 agosto 1875, a Torino nasceva l'ottavo e ultimo figlio di Domenico, Innocenzo. Lo precedevano maschi e femmine e la settima era una figlia, di sei anni più vecchia di Innocenzo.

Tre volte Domenico Cappa non volle obbedire ad ordini che riteneva ingiusti e pagò di persona questo suo retto comportamento. Subito dopo la nascita di Innocenzo, Domenico venne trasferito da Torino a Catania perché aveva fatto arrestare alcuni ricchissimi nobili giovanotti che giocavano d'azzardo. Fu spostato a Venezia e a Ravenna.  Promosso ufficiale delle Guardie di P. S., dal 1880 Cappa rimase a Milano, dove venne nominato maggiore comandante il battaglione Guardie di P. S., l'apice della carriera.

Anche a Milano, la figura di Domenico Cappa divenne molto popolare e benvoluta, benché fossero intanto giunti gli anni difficili del regno di Umberto I. Il Nostro si vantava di non avere mai usato un'arma, di non avere mai estratto dal fodero la sciabola d'ordinanza, perché i malfattori li fermava con il suo carisma (e la sua notevole forza fisica).

Una caricatura del 1869 che enfatizza la repressione poliziesca di quel periodo.

Molto affezionato al re Umberto I, Cappa vigilava sulla vita del monarca nel parco della Villa Reale di Monza: quando lo incontrava, il re gli rivolgeva la parola in piemontese.

L'aspetto di Domenico Cappa era molto caratteristico: se non portava l'uniforme gallonata d'argento delle Guardie di P. S., indossava dimessi abiti borghesi: «calzoni neri, stiffelius a lunghe falde, cravatta nera al collo, alto cappello a cilindro in testa, grossa canna fra le mani; figura pacificamente tranquilla di magistrato in ritiro», così lo descrive il giornalista Francesco Giarelli, suo contemporaneo, il quale ricorda che Cappa, così abbigliato, nel corso di molti incendi si prodigò per salvare persone in pericolo: coraggioso ed altruista, agiva in modo curioso, senza fretta, metodicamente. Molto religioso, sincero credente, proprio in una chiesa di Milano venne derubato del suo inseparabile parapioggia.

Nel 1891, dopo trentadue anni di servizio, Cappa venne collocato a riposo d'autorità, perché, come spiega il figlio Innocenzo, non aveva voluto subire in silenzio provvedimenti superiori che ripugnavano al suo animo. Era la sua terza disobbedienza, disobbedienza che come le due precedenti gli fanno onore.

Domenico cercò allora lavoro in vari uffici per mantenere Innocenzo agli studi e si mise definitivamente a riposo solo dopo che questi si laureò in legge. Innocenzo Cappa divenne celebre: fu infatti un avvocato e un insigne conferenziere, condusse una intensa vita politica e venne nominato senatore. Debole e malaticcio, Innocenzo dimostrava non comuni capacità intellettuali; a tredici anni, in vacanza ad Aosta, incontrò Giosuè Carducci che apprezzò le sue doti di parlatore. Innocenzo abbracciò idee repubblicane e mazziniane, in contrapposizione a quelle paterne, senza che questo incrinasse i loro rapporti. Quando venne ucciso il re Umberto I, Innocenzo, già sposato e direttore di un giornale repubblicano, si recò dal padre per dirgli come il delitto lo avesse colpito: «Se fossi stato in servizio io questo assassinio non avveniva!» gli disse Domenico piangendo.

Innocenzo Cappa, il figlio di Domenico nominato Senatore.

Cappa scrisse, o più probabilmente dettò, due libri di memorie: «Trentadue anni di servizio nella polizia italiana - Memorie del Maggiore cav. Domenico Cappa (ex-Comandante delle Guardie di P.S. di Milano) raccolte ed ordinate da Giovanni Arrighi», edito a Milano dai Fratelli Dumolard nel 1892 e «Trentadue anni di servizio nella polizia italiana - Nuove memorie del Maggiore cav. Domenico Cappa (ex-Comandante delle Guardie di P.S. di Milano) raccolte ed ordinate da Giovanni Arrighi, seconda serie», apparso sempre a Milano presso i Fratelli Dumolard, nel 1893.

Anche se accomunati dallo stile un poco ampolloso e retorico, i due volumi appaiono assai diversi tra loro per il contenuto. Il primo è prevalentemente dedicato ad episodi avvenuti a Torino: viene ricordato il periodo 1859-60 trascorso all'ombra di Camillo Cavour che Cappa indica soltanto come «il senatore» e si accusa l'amante dello statista, Bianca Ronzani, di averlo avvelenato per gelosia.

Sono descritti i casi del falsario Roccetti (un personaggio cialtrone ed esibizionista il cui processo fece scalpore: Roccetti accusò di complicità alcuni uomini politici, fra cui il medico garibaldino Agostino Bertani), dei fratelli Antonio e Giovanni Battista Caresio (due feroci malfattori canavesani, abitanti a Torino e autori dell'efferata uccisione di un carrettiere di Rivalta), e di Antonio Bruno, detto ël Cit ëd Vanchija (il piccolo di Vanchiglia, un malfamato quartiere periferico di Torino), un imprendibile ladro, che riuscì a sfuggire all’arresto per divenire il protagonista di commedie e romanzi. Cappa ne riporta la vicenda in termini degni di un feuilleton, troppo lontani da una realtà che avrebbe dovuto ben conoscere. Domenico Cappa risolse in prima persona un altro episodio criminoso: il caso di una coppia assassina formata da Dominique Rossignol e da Virginia Catella che terrorizzò Torino per alcuni mesi di quel maledetto 1869.

La giovane donna adescava i giovanotti e li attirava in luoghi isolati, dove Rossignol li colpiva al capo con un randello per derubarli: dei tre aggrediti, due rimasero uccisi. Cappa arrestò i due amanti assassini, rilasciati con troppa faciloneria da qualche funzionario, e si prodigò nelle indagini, lottando contro lo scetticismo di alcuni superiori, fino alla loro definitiva cattura. Raccontò tutto questo in una memorabile deposizione in Corte d'Assise di Torino. Quando l'accusato Rossignol dichiarò che il maresciallo non aveva trovato nel corso di una perquisizione alcuni corpi di reato abilmente nascosti nel camino, Cappa ci rimase così male che il pubblico si sentì in dovere di consolarlo, dimostrandogli tutta la sua simpatia.

Il secondo volume, nato forse sull’onda del successo del primo, contiene anche spunti di polemica e critica nei confronti della polizia: ricorda episodi poco lusinghieri per le forze dell'ordine come la strage di Torino del 1864 e fatti di corruzione, di cattivo comportamento da parte di graduati delle Guardie di P. S., di uno scandalo che coinvolse il questore di Torino ed infine di quotidiani episodi di arrivismo e di invidia reciproca.

I fatti narrati sono abbondantemente romanzati e, per l'ingenuo egocentrismo che pervade i due libri, per le ricostruzioni talora approssimative, le Memorie non possono certo essere utilizzate come documenti inoppugnabili. Hanno però un innegabile fascino, percepibile soprattutto alla lettura del primo volume, che parla di un periodo poco noto di Torino.

Altri componenti della famiglia Cappa sono il cavalier Cesare Cappa, Procuratore del Re in Ravenna, che venne ucciso il 1° luglio 1868 dalla setta degli accoltellatori; nelle sue Memorie, Domenico lo chiama «cugino».

Un altro Innocenzo Cappa, primo cugino del figlio di Domenico, ufficiale dell'esercito, fu il padre di Benedetta Cappa, che nel 1921 divenne la moglie del poeta futurista Filippo Tommaso Marinetti.

Ma questa è un’altra storia.

per la Redazione di Cadutipolizia.it Milo Julini

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